Un brano emozionante – scritto da Massimo Gargiulo – che racconta la didattica in presenza di Plotino e Porfirio attraverso una lettura lontana nel tempo.

La vera didattica non è a distanza

di Massimo Gargiulo 

La didattica dal vivo tra insegnanti e alunni, attraverso una lettura lontana nel tempo la didattica in presenza di Plotino e Porfirio

Mi rifugio di nuovo in una letteratura lontana nel tempo per tentare di far comprendere meglio il perché della rivendicazione più costante che gli insegnanti, e non solo, stanno portando avanti in questi mesi, cioè la necessità del ritorno alla didattica in presenza come unica vera didattica. Nell’emergenza abbiamo fatto ciò che era possibile a distanza, verificando finalmente in maniera definitiva le potenzialità di questo metodo, ma anche i forti limiti, e in ogni caso la totale alterità rispetto al rapporto vivo tra docente e alunni. Uso le parole della letteratura antica per varie ragioni. La prima è che spero così che il discorso non risulti depotenziato dalla ripetitività che inevitabilmente avrebbe qualora riproponessi le pur sacrosante motivazioni manifestate da ogni collegio docenti consapevole. La seconda è che sono parole più belle di quelle che saprei usare io. La terza, del tutto privata, è che mi ricordano ogni volta che le riutilizzo un professore la cui presenza, appunto, è stata per me fondamentale, Giorgio Meiorin.

Guarderò al rapporto tra un illustre maestro e l’allievo che ne editò l’opera principale, le Enneadi. Il primo è il filosofo neoplatonico Plotino (205-269 d.C.), che aprì una scuola a Roma nel 244 e sognò di costruire in Campania Platonopoli, una città che avrebbe dovuto seguire il modello dello Stato ideale di Platone. Il secondo è Porfirio, che ne fu discepolo dal 263 al 268; il maestro, oltre che guidarlo alla filosofia, lo aiutò in un periodo di depressione che lo aveva portato sull’orlo del suicidio, e di lui Porfirio scrisse anche una Vita, da cui traggo il brano su cui mi soffermerò brevemente, con qualche piccolo adattamento che renda più intellegibile la traduzione (par. XIII):

Quando stava insieme agli allievi, egli era piuttosto abile nel formulare le frasi e nel trovare e pensare ciò che era conveniente, ma a volte sbagliava nella pronuncia invertendo l’ordine delle lettere nelle sillabe, o non indovinando gli accenti, errori che ripeteva anche nello scritto. Quando però esponeva un argomento, la rivelazione del suo pensiero giungeva fino al viso che gli si illuminava. Già gradevole alla vista, allora diveniva ancora più bello, quanto mai lo si vedeva. Gli correva qualche goccia di sudore e la sua dolcezza si faceva splendente, mentre si rivelavano il suo essere aperto alle domande e la sua attenzione.

L’ultima caratteristica è dimostrata da un aneddoto gustoso che viene subito dopo e che riassumo brevemente. Porfirio ricorda di come una volta avesse fatto domande a Plotino per ben tre giorni sulla coesistenza tra anima e corpo, ottenendo le risposte del maestro. Un certo Taumasio si era lamentato di quelle lungaggini, reclamando una conferenza che poi potesse divenire un libro. Plotino spiegò allora che, senza sciogliere i dubbi che gli venivano posti, difficilmente si sarebbe arrivati a qualcosa degna di essere fissata nella scrittura.

Queste righe, come promettevo all’inizio, fanno comprendere poeticamente ciò che noi oggi proviamo a ripetere sull’importanza della riapertura della scuola. L’atmosfera è quella di una grande vicinanza tra maestro e allievi, che nelle parole di Porfirio si carica di una sincera ammirazione, sostenuta da una implicita gratitudine. Il testo greco infatti, per quello che io ho tradotto “quando stava insieme”, usa un sostantivo astratto, synousia, composto dalla preposizione che significa ‘insieme’ e ‘dalla radice dell’essere’: il rapporto maestro-allievo è etimologicamente uno stare insieme in presenza, il quale, se funziona autenticamente, sostituisce la gerarchia del su- con l’intimità del con-. È proprio questa che permette di rilevare un dato scontato, quello cioè che anche il migliore degli insegnanti ha dei difetti. Nel contatto diretto questi si manifestano e, affidati alle parole, non sono più emendabili. Però sono compresi. È una imperfezione che, se in buona fede e non figlia di malevolenza o neghittosità come purtroppo talora accade, rende più umano il rapporto, e per questo didatticamente più efficace. Perché, dopo l’errore di pronuncia, arriva la vera e propria epifania di quel momento di grazia che a volte riesce a essere l’insegnamento. Il maestro appassionato e competente allora si illumina, lascia trasparire una bellezza non sua, presa a prestito da ciò che insegna e dall’attenzione degli sguardi che lo seguono. Qui c’è un secondo particolare tutto umano che astrae il quadro da questa luce di bellezza ideale e lo rende vivo: è la goccia di sudore che corre sulla sua fronte, frutto della fatica e della tensione di essere esposto a sguardi così attenti. Gli alunni notano sempre tutto, si è come nudi di fronte a loro. A mesi di distanza ti ricordano quel particolare di un tuo gesto ridicolo, di una camicia abbottonata male, del gesso che avevi ovunque. E questo accade lì, sul tuo palco spoglio, dove devi accettare di recitare nudo cercando di portare con te l’attenzione di quegli spettatori avidi.

L’aneddoto svela infine l’aspetto forse più rilevante nella dialettica didattica in presenza / a distanza. Porfirio allude a un metodo ben attestato nell’antichità, che i Greci chiamavano erotapokriseis, e che si trovava già almeno in Socrate, quello delle domande e risposte. Il quesito dell’allievo è non un di più, ma l’unica via attraverso cui si possa giungere a una definizione finalmente meritevole di entrare in un libro. Ma l’indagine deve essere comune e, perciò, in presenza. L’alternativa è la conferenza, seguita dal libro. Questa è forse la più esatta definizione della famigerata DaD sperimentata sulle piattaforme. Anche nelle nostre migliori intenzioni, anche nello spirito più dialogico, l’insegnamento da uno a tanti schermi non può non somigliare alla trasmissione di contenuti tipica di un conferenziere o delle pagine di un testo.

Lo schermo comprime la domanda e risposta degli allievi tra loro e con l’insegnante; sullo schermo non corre alcuna goccia di sudore; lo schermo è più su- che con-.