di Marco Bersani, Attac Italia
*articolo pubblicato su il manifesto del 7 giugno 2025 per la Rubrica Nuova finanza pubblica
Nei giorni scorsi, l’Unione europea ha inoltrato le consuete raccomandazioni agli Stati membri in merito ai rispettivi bilanci nazionali. La novità è che la prima raccomandazione per ognuno dei 27 Stati membri riguarda l’aumento delle spese militari.
D’altronde, prima di cambiargli pudicamente nome, il piano di “rilancio” economico europeo si chiamava “Rearm Europe”. In ossequio a tale piano l’Unione europea ha attivato il Safe, un nuovo strumento finanziario dedicato a sostenere gli investimenti degli Stati nel settore della Difesa, che servirà a elargire prestiti fino a un massimo di 150 miliardi di euro.
Nel frattempo, sono già 16 gli Stati membri che hanno deciso di attivare la clausola di salvaguardia, ovvero il meccanismo che permette di non conteggiare all’interno dei vincoli del patto di stabilità le spese per la difesa e per gli armamenti.
Già solo questo primo blocco di misure rivela come il conto di tutto questo sarà pagato dalle popolazioni, sia in termini di aumento del debito pubblico e relativi interessi, sia in termini di inevitabili tagli a tutti gli altri settori – sanità, istruzione, transizione ecologica, spesa sociale – per i quali il patto di stabilità non smetterà di esistere.
ReArm Europe è tuttavia un piano ancora più ambizioso e vuole mobilitare al servizio della guerra altri 650 miliardi. Ecco allora la possibilità per gli Stati di dirottare sugli armamenti i tradizionali “fondi per la coesione”, ovvero i soldi ordinariamente destinati alle aree più disagiate del continente, con il risultato che saranno le fasce più povere a subire il danno maggiore (oggi, grazie a tre decenni di politiche liberiste e di austerità, l’Europa vanta ben 95 milioni di persone a rischio povertà).
Naturalmente, tutto ciò è ancora insufficiente, perché quando la Patria chiama ogni uomo e donna del Paese deve essere disponibile a tutto: in particolare, a mettere a disposizione del piano di riarmo tutti quei risparmi oggi lasciati “improduttivamente” sui propri conti correnti bancari. Si tratta, a livello europeo, di oltre 11mila miliardi di euro, che l’Unione europea vorrebbe attrarre, attraverso nuovi veicoli finanziari, verso gli investimenti nel settore bellico. A questo scopo, si è deciso di creare un nuovo strumento, l’Unione del risparmio e degli investimenti (Siu), mentre si stanno studiando sia la possibilità di nuove cartolarizzazioni (ad es. sui mutui), sia l’obbligo di aderire a fondi pensione, i quali nel frattempo si stanno ovviamente orientando a investire nei settori della difesa e degli armamenti.
Siamo a una riedizione moderna dell’’oro alla patria di mussoliniana memoria, quando, nel dicembre 1935 fu istituita la “giornata della fede” per finanziare con le fedi nuziali l’invasione dell’Etiopia. Oggi lo si fa attraverso la costruzione di una nuova bolla finanziaria da mettere a disposizione dei grandi fondi d’investimento in fuga dal declino dell’impero americano, ma la sostanza rimane identica: il capitalismo investe nella guerra per non affrontare le proprie insanabili contraddizioni – diseguaglianza sociale mai così ampia, crisi ecoclimatica alla soglia dell’irreversibilità – e chiede a tutte e tutti noi di divenirne i soldati, oggi finanziandola, domani combattendola direttamente.
In questi mesi è nata a livello europeo la campagna “Stop ReArm Europe” una coalizione sociale ampia e plurale che si è posta l’ambizioso obiettivo di costruire nel tempo un nuovo movimento di massa contro la guerra e il riarmo, per il cessate il fuoco in Ucraina e lo stop al genocidio in Palestina, e contro la stretta repressiva sui movimenti sociali.
Il primo passo in Italia sarà una grande manifestazione nazionale il 21 giugno a Roma, per dire che tra la Borsa e la vita non abbiamo alcun dubbio: scegliamo la vita.
Tutte e tutti insieme, la vita.
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